24 aprile 2013

FILM - "Tutti gli uomini del Presidente" ("All the President's Men") di Alan J. Pakula

Nei primi anni settanta gli Stati Uniti vengono scossi dal caso Watergate, che culmina, nel 1974, con le dimissioni dalla carica di Presidente del repubblicano Richard Nixon. Tutto era partito, due anni prima, da un'inchiesta giornalistica del "Washington Post", che aveva raccolto degli indizi a proposito di un'ipotetica opera di controllo e spionaggio condotta ai danni del partito democratico. Nel 1976, quasi a ridosso degli avvenimenti, esce nelle sale "Tutti gli uomini del Presidente" di Alan J. Pakula, che racconta le varie tappe delle indagini portate avanti dai due giornalisti, Bob Woodward e Carl Bernstein, interpretati rispettivamente da Robert Redford e Dustin Hoffmann. Il film, tratto dal libro degli stessi Woodward e Bernstein, parla di un evento politico con l'andamento di un thriller mozzafiato.
La migliore tradizione hollywoodiana dello spettacolo cinematografico si fonde con l'impegno civile tipico di un certo cinema americano degli anni settanta. Pakula, già regista di film come "Una squillo per l'ispettore Klute" ("Klute", 1970) e "Perché un assassinio" ("The Parallax View", 1974), intreccia sapientemente i due aspetti dell'opera, adottando uno stile allo stesso tempo coinvolgente e rigoroso. Non mancano i pezzi di bravura ma si incastrano alla perfezione in un quadro d'insieme che risulta asciutto e sobrio. Anche la suspense, essendo sempre funzionale all'idea che si vuole esprimere, non scivola mai nella pura e semplice ricerca dell'effetto. 
Il ritmo è serrato, il susseguirsi degli eventi si fa sempre più incalzante e alcune scene comunicano un autentico senso di inquietudine. Si pensi a quando Woodward incontra "gola profonda", il suo informatore che vuole rimanere anonimo, in un buio e tetro garage sotterraneo. O a quando, verso il finale, l'inquietudine sfocia quasi nell'incubo, con i due protagonisti che temono a loro volta di essere vittime di cimici e microspie. Ma, a differenza di altri thriller a sfondo politico, la vicenda non si allarga a possibili orizzonti metaforici, magari dell'eterno conflitto fra individuo e società: l'angoscia rimane legata rigorosamente ai fatti narrati e lo spettatore che la percepisce è indotto a prendere coscienza esclusivamente di un evento storico e politico.
Contribuisce non poco alla riuscita del film la cura con cui ne vengono tratteggiate le atmosfere. La narrazione è affidata ad uno sguardo dimesso e "quotidiano", tipico anch'esso di buona parte del cinema americano di quegli anni. In contrasto al clima di tensione che si respira in molte sequenze, alcuni momenti, soprattutto quelli ambientati all'interno della redazione del "Washington Post", risultano più distesi e rassicuranti. Basti pensare al rapporto fra i due giornalisti ed il loro direttore (Jason Robards, premiato con l'Oscar come miglior attore non protagonista), apparentemente burbero ma pronto a schierarsi dalla loro parte.
Robert Redford e Dustin Hoffman offrono due interpretazioni intense e ricche di sfumature. Da non sottovalutare, inoltre, l'importanza dei collaboratori. Se William Goldman (anch'egli premiato con l'Oscar) è autore di una sceneggiatura che non perde un colpo, David Shire firma una colonna sonora secca ed essenziale. Per non parlare della straordinaria fotografia di Gordon Willis, capace di illustrare in termini di contrasto fra luce ed ombra la tematica espressa dal film.
Pier

Nessun commento:

Posta un commento