14 ottobre 2012

CINEFORUM - "Siddharta" di Conrad Rooks

Per motivi di varia natura al primo incontro del cineforum "L'Oriente in Occidente" mancavano diverse persone interessate al percorso e che vorrebbero partecipare a partire dalla prossima volta. 
Al fine di "recuperare" la prima puntata posso mettere a disposizione il dvd del film per chi fosse interessato a vederlo. Ho quindi preparato una sintesi degli argomenti affrontati nella serata, sia nell'approfondimento che nella successiva condivisione tra partecipanti, che potete leggere di seguito.
Pier


Trasposizione del celebre romanzo omonimo di Herman Hesse, “Siddharta”, prodotto e diretto dallo statunitense Conrad Rooks (che ha firmato un altro titolo, “Chappaqua”, del 1966), viene realizzato nel 1972 interamente in India con attori locali. La vicenda è ridotta all’essenziale ma resta fondamentalmente fedele allo spirito del romanzo. Il film si fa notare soprattutto per la bellezza dei paesaggi naturali e per la fotografia del celebre Sven Nykvist, mentre la recitazione presenta qualche enfasi di troppo, almeno - suggerisce qualcuno - per chi non è abituato agli standard indiani.

Al di là del risultato espressivo, abbiamo scelto quest’opera come prima tappa del nostro percorso in quanto presenta ottimi spunti per introdurre l’argomento del cineforum. Nell’approfondimento successivo alla visione del film si è quindi iniziato facendo un cenno a come sia avvenuta la penetrazione di alcuni temi derivanti dalla spiritualità indiana nell’Occidente del XIX secolo, dall’inizio della dominazione inglese in India alle prime traduzioni di classici del pensiero religioso indiano in lingue europee, dagli studi storico-religiosi inglesi alla ricettività della filosofia tedesca nei confronti di certi argomenti, a partire da Schopenauer.
Si giunge quindi ad Hermann Hesse e si analizza brevemente il suo “Siddharta”, proponendone una lettura che ne fa la sintesi profondamente europea di temi provenienti dall’India: è quindi un romanzo che ben esemplifica l’incontro tra culture, offrendo al lettore degli spunti fedelmente tratti da una tradizione spirituale “altra” ma presentati in un contesto altrettanto fedele allo spirito individualistico - nel senso migliore del termine - tipicamente occidentale.
Dal romanzo di Hesse (1923) si arriva poi al film di Rooks (1972): si accenna al periodo della cosiddetta “controcultura”, durante il quale l’interesse nei confronti della spiritualità indiana diviene fenomeno di massa, spesso prendendo spunto proprio dal “Siddharta” di Hesse, che diventa ancor più celebre proprio in quegli anni. E’ l’epoca degli hippie e dei viaggi in India, nonché della mescolanza di suggestioni culturali che a volte possono produrre sintesi interessanti mentre in altri casi possono sfociare nella confusione.
Si passa infine ad illustrare in modo estremamente sintetico i principi basilari delle due tradizioni religiose indiane presenti nel film: il buddhismo e l’induismo. Vengono riassunti brevemente i concetti di samsara, karma, reincarnazione e liberazione secondo i differenti punti di vista dei due approcci spirituali citati.
Dopo l’approfondimento appena riassunto si è dato inizio al dibattito fra i partecipanti, a partire dalla domanda se sia possibile o meno l’incontro fra la cultura occidentale e la spiritualità indiana: si tratta di una sintesi effettivamente praticabile o si rischia la confusione e la superficialità? Le risposte sono state ovviamente diverse.
C’è chi ha sottolineato che l’aspetto fondamentale non sia la differenza culturale ma di stile di vita che si sceglie di intraprendere: anche da noi esiste una tradizione monastica cristiana dove viene richiesta l’obbedienza ad una regola e l’adesione ad un cammino che lascia poco spazio al cosiddetto individualismo. Lo stesso intervento è proseguito proponendo un’interpretazione del “Siddharta” di Hesse, più che come tentativo di sintesi culturale, come specchio della personalità dell’autore, incline ai disturbi depressivi ed all’insicurezza relazionale. Un punto di vista ripreso da un altro intervento, che lo ha usato come spunto che si può estendere: se il malessere interiore di un autore ha dato vita non solo ad un’opera d’arte ma anche ad un libro che tanto influsso ha esercitato su diverse generazioni dal punto di vista esistenziale (rimanendo tutt’oggi per alcuni un valido esempio di percorso spirituale al di fuori delle religioni istituzionali), allora, viene da chiedersi, non potrebbe essere stata una forma di malessere analogo a spingere anche alcune grandi figure ad intraprendere dei percorsi di vita e magari a fondare una nuova religione? Questa ipotesi nulla toglierebbe di per sé alla validità di percorsi scoperti a partire da forme di malessere interiore. C’è chi ha chiesto quale fosse stata l’accoglienza del romanzo di Hesse in India ma nessuno aveva sufficienti informazioni per rispondere, tranne l’episodio di un importante monaco indiano che è andato a meditare sulla tomba di Hermann Hesse.
Qualcuno ha visto nel film una rappresentazione pessimistica del cammino interiore in quanto il protagonista non aderisce a nessuna tradizione e il messaggio sembra essere quello che nessun cammino può portare alla realizzazione. Qualcun altro ha risposto dicendo che secondo alcuni maestri, per lo più isolati, il cammino serve solo a rendersi conto che non c’è nessun cammino, proprio come dice il film: in tal senso il messaggio non sarebbe pessimistico.
C’è poi chi ha affermato la possibilità di una sintesi culturale, facendo riferimento a Jung e citando degli esempi di autori spirituali contemporanei, quali Marco Guzzi o Marco Ferrini; chi ha portato la propria testimonianza relativa alla meditazione di consapevolezza ed ha ribadito la possibilità di portare avanti in Occidente un cammino spirituale derivante dall’Asia, a patto di impegnarsi nella pratica; chi ha dichiarato di provare un profondo rispetto per le tradizioni indiane ma di sentirle comunque distanti, essendo nato e cresciuto in un contesto cristiano al quale si sente di appartenere nonostante la mancanza di un’adesione istituzionale.
Uno dei presenti ha insistito sulla differenza tra il senso di colpa e del peccato presenti nel cristianesimo e l’invito alla ricerca interiore delle tradizioni indiane. Tale distinzione è stata ritenuta da un altro del gruppo eccessivamente astratta ed ha stato sottolineato come il senso di colpa lo possa creare qualsiasi tradizione religiosa per altre vie, la differenza sta in come si interpreta e si propone un cammino spirituale.
C’è chi ha quindi fatto un accenno ad una proposta di una spiritualità contemporanea che prendesse come cardini del proprio approccio quelle costanti universali che si esprimono ugualmente in tradizioni diverse. Ma un altro dei presenti ha precisato che questo tipo di approccio è oggi considerato superato dagli studi accademici, i quali mirano piuttosto a mettere in evidenza la particolarità di ogni tradizione.
La serata si è conclusa dandosi appuntamento al prossimo incontro.

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